MOTOCROSS, GIOIE E DOLORI

di Giovanni Niccolini


Il 2000 e’ stato l’ultimo anno nel quale ho fatto le riprese per il mondiale di motocross, sport affascinante, divertente ed impegnativo in eguale misura per il nostro lavoro . Generalmente il numero di telecamere non superava le 10 ma i chilometri di cavi triax da 11 millimetri, erano sempre tanti. In condizioni normali non sarebbe stato un problema e nemmeno tanto faticoso stendere tutti quei cavi, visto e considerato che la totalità delle gare erano d’estate. Il problema arrivava con la pioggia e vi lascio immaginare il perché. Proprio in quell’anno su 13 gare per 11 piovve.

I “Fanga Boys”, così ci eravamo soprannominati, lottavano con il fango su tutti i circuiti d’Europa ma in Inghilterra furono sconfitti dalla massa terrosa. Coperti fino ai capelli, la prima sera andammo a lavarci con le idropulitrici, proprio come le moto, per poterci riconoscere. Il giorno dopo il classico tempo inglese non ci dette tregua. Mezz’ora di sole e caldo, un ora di pioggia e freddo con una periodicità tipica della precisione inglese. Malgrado tutto riuscimmo a terminare l’impianto e a montare le telecamere ma di asciutto non c’era rimasto più niente. Un disagio anche per i piloti che dopo le prove non avevano più un posto asciutto per riposare e farsi massaggiare. Il giorno della gara appena partita la prima manche un temporale di tuoni e fulmini si abbatte sul circuito. Cercavo di coprire al meglio la camera ma la pioggia e la grandine entravano dappertutto rendendo la visibilità quasi nulla. L’acqua cadeva così forte sul circuito da levigare il terreno e far uscire gli spuntoni delle rocce. Sbucavano un po’ da tutte le parti ed a quel punto i piloti si rifiutarono di correre e la gara fu annullata. Non rimaneva che smontare tutto in quel mare di fango. Molti cavi però rimasero bloccati dalla morsa del fango e l’unica soluzione fu quella di tagliarli. I “Fanga Boys” non si fermavano davvero di fronte a niente ma in cuor loro non vedevano l’ora di tornare sull’asfalto asciutto, ringraziando la provvidenza per la fine di quell’incubo.