DAJE GUGHI!

Guglielmo Mantineo ci racconta come è venuto fuori dalla sua brutta esperienza 


Questo Covid-19 è una brutta bestia. Purtroppo sono molti i colleghi che si sono ammalati. Tanti, troppi. Ad ognuno di loro va il nostro abbraccio sincero.
Ci troviamo spesso dietro un’obbiettivo a raccontare le emozioni, che siano le gioie o  il dolore altrui. Per maneggiarle conviene indossare una tua muta trasparente, una finta patina di protezione, concentrando la mente nell’occhio dentro la loop che sta puntando davanti a te. E se c’è una persona cara, tutto si squaglia e rimani nudo. E’ la sensazione che è venuta a tutti, quando è arrivata la notizia che un ragazzo era risultato positivo e non stava per niente bene. Si è aperto uno squarcio di paura.
 
Guglielmo è un ragazzo cresciuto sul “fantastico carrozzone del broadcast italiano” come lo definisce lui.  Da più di un decennio si fa apprezzare per la sua disponibilità, il suo carattere dolce e responsabile ma soprattutto la sua preparazione. Uno che ha fatto la gavetta e sa dare il suo contributo con competenza. Dopo anni di esperienza come Responsabile Tecnico e Rvm, è approdato da qualche anno al gruppo Perform DAZN come Executive Producer.
Un classe 1985 e Venerdì 13 novembre è finalmente tornato a casa.

D: Gughi, come stai?
G: Ciao Ragazzi! Ora molto meglio, grazie.
 
E per fortuna si sente. La sua voce è chiara, anche se affannata.
I primi sintomi, ci racconta, sono comparsi il 12 Ottobre, quando ancora non è arrivato il freddo. Non tra i brividi che inizia a provare sul corpo, con la febbre subito alta. Con la supervisione del medico, parte subito un responsabile periodo di isolamento domestico. Cerca sollievo con le cure suggerite per telefono dal dottore. Ecco poi che sparisce l’olfatto e il gusto…
G: “…lasciando il posto alla spossatezza. Credo di non aver mai provato una stanchezza tale. Inizio ad essere affannato, respiro male. Fino alle crisi respiratorie”.

D: Che sono state il sintomo che ti porta immediatamente in ospedale.
G: Era il 19 ottobre, dopo 7 giorni dai primi sintomi. Arrivano le crisi, il che vuol dire ospedale. Per 4-5 giorni è stato un inferno con la mascherina al 60% di ossigeno che sparava aria verso la mia bocca. Le crisi respiratorie ti lasciano un unico pensiero, che quella sia la fine. Il tuo giro di giostra sta finendo, il tuo turno è andato, ti tocca solo scendere. Questa sensazione non la auguro a nessuno. Mi viene in mente l’immagine di un film: stanno assassinando qualcuno con un sacchetto in testa, per soffocarlo. Provi a tirare dentro ma non entra nulla.Quando dormi e ti svegli durante la crisi è ancora peggio. Mi vengono i brividi solo a ricordalo, è qualcosa di spaventoso .E sei solo. Non puoi parlare, nessuno può entrare e non puoi chiamare. E non volevo comunque chiamare nessuno, per non far sentire la mia voce stanca e affannata. Avrei solo dato ancor più preoccupazioni. Grazie al cielo una mano era libera e potevo leggere e scrivere qualche messaggio. L’unico conforto, il whatsapp di un familiare o di un amico, quello ti incoraggia.

Lì dentro sembra di essere a Chernobyl, sono tutti bardati dalla testa ai piedi. Non si distinguevano i medici dagli infermieri. Tutti uguali ma tutti a darsi una mano. Tutti fondamentali, un po’ come in regia. Ogni medico che veniva a controllare continuava a nominare la famigerata intubazione e se la saturazione  fosse crollata a picco era inevitabile. Da un lato ero terrorizzato dalle crisi respiratorie, ma una cosa la dovevo evitare: l’intubazione. Mi sono fatto forza, cercando di rimanere lucido e tranquillo. Una sfida contro te stesso per abbassare il tuo fabbisogno di ossigeno. Dopo i primi 4 gg è arrivato in ospedale l’ antivirale famoso e dalle 5 flebo che facevo siamo passati a 7. Il miglioramento è stato visibile dal secondo giorno, abbiamo abbassato piano piano l’ossigenazione nella mascherina al 31%, dopo 10 giorni. Alla fine sono passato all’aria ambiente e dal mio ingresso erano passati 15 giorni ma mi è sembrata un’eternità. Tornavo a respirare con i miei polmoni, la mia bocca ed il mio naso. Qualsiasi piccolo movimento mi portava affanno come aver corso una maratona ma stare senza la mascherina era una soddisfazione. Credevo fosse letale solo per chi ha altre patologie ed invece non è così. Vi assicuro che sono sempre stato sano.

Non voglio creare ansie, ne spaventare ma dobbiamo stare attenti. 
Ci vuole un grandissimo senso civico, fare i tamponi monitorando se stessi è l’unica arma per aiutare noi e chi ci sta vicino. Anche io ho portato la mascherina e rispettato le distanze ma ci deve essere stato un momento in cui mi sono distratto! 

Lavoriamo perché è fondamentale lavorare, lo sottolineo ma se prima per fare una cosa ci voleva un’ora, perdiamoci più tempo ma stiamo al sicuro.

D: Ti abbracciamo forte. Grazie di tutto. Sei una roccia, Daje Gughi!